La storia dei Magnifici 4... che mangiano solo proteine...

    INTRODUZIONE

    A coloro i quali si stracciano le vesti denunciando dei danni irreparabili che procurerebbe il sondino con le proteine, rispondiamo che, forse, lo studio di un po' di etnologia spicciola li aiuterebbe a capire meglio il mondo. Il quale non si esaurisce nei testi universitari e nei congressi medici. E neanche nei software per PC. Il mondo è più antico, più grande, più complicato, più immune dalle presunzioni dell'umano intelletto di quanto qualunque guardiano dell'ortodossia riesca a immaginare. Del resto, se ci si pensa bene, il flagello dell'obesità mostruosa che affligge, oggi, gli statunitensi, data all'inizio del XX secolo, quando quegli sventurati pensarono bene di accettare i consigli dei dietologi dell'epoca, i quali spingevano a consumare più farinacei di quanto fosse nelle abitudini americane di allora. Impararono presto, e, da buon popolo evoluto, civilizzato e ricco, i nord-americani cominciarono ad abbuffarsi di farine cerealicole raffinate: coi bei risultati che sono, oggi, sotto gli occhi di tutti. Esistono, invece, almeno 4 grandi esempi di popolazioni umane che si nutrono di sole proteine animali praticamente da sempre, per lunghissimi periodi della loro vita (per alcuni di loro "dalla culla alla tomba", si potrebbe ben dire). Sono i padroni del Grande Nord, quegli Eschimesi arrivati sino a noi vivendo di gelo e ghiacci (1); sono i Masai e i Tutsi dell'Africa Sud-Sahariana, gli uomini meglio costruiti e gli atleti più forti della terra (2); sono i Mongoli e i Tartari, quelli che con Attila e Gengis Khan conquistarono il mondo (3). E sono magri, belli, e stanno benissimo: incuranti, e, anzi, ignari, dei nostri presuntuosi, quanto per loro inutili, consigli alimentari. 

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   - 1) I "MANGIATORI DI CARNE CRUDA".

    Groenlandia, Alaska, Siberia nord-orientale, coste del Nord Canada. Rappresentano la parte del cosiddetto "Continente Artico" costituita da terre emerse: il resto è ghiaccio galleggiante, alla deriva sull'Oceano Artico. Tradizionalmente, le popolazioni che abitano questi luoghi sono conosciute come "Eschimesi", distinti tra "Yupik" e "Inuit".
   Gli Yupik sono quelli insediatisi più a sud, all'estremo occidentale dell'Alaska, lungo il fiume e nel delta dello Yukon-KuskoKwim (Yupik americani), da una parte, e lungo le dirimpettaie coste orientali della Siberia (Yupik siberiani), dall'altra.
   Gli Inuit (Inuktitut nella loro lingua, termine che vuol dire, semplicemente, "uomini"), i più conosciuti, sono gli abitanti dell'estremo Nord, dei ghiacci quasi perenni (popolano le coste nord dell'Alaska, sino al suo estremo nord-occidentale, e quelle all'estremo settentrione della parte orientale della Siberia), dell'estremo nord della Groenlandia, delle coste dello Stretto di Bering: il loro habitat è rappresentato, da millenni a questa parte, da tundra spoglia, ricoperta da ghiacci per la più gran parte dell'anno, da muschi e licheni nella stagione "calda", e del tutto priva di alberi, causa la perenne presenza di permafrost sotto pochi centimetri di terra (anche nel pieno della brevissima estate boreale).
   Gli Yupik, per il loro vivere più a sud, lungo le rive dello Yukon-KuskoKwim, si addentrano più degli Inuit nell'entroterra, dove riescono a cacciare caribù (e, talora, alci) durante la stagione estiva, nel corso della quale questi ungulati si spingono ai limiti più settentrionali della taiga. Per il resto, tradizionalmente entrambe le popolazioni vivono in via esclusiva delle risorse alimentari fornite dal mare: la caccia (foche, trichechi, balene) e la pesca (merluzzi, sgombri, aringhe, sardine). Null'altro: non assumono vegetali, se non in via del tutto eccezionale. Ricavano la vitamina C di cui il loro organismo ha bisogno da una fonte insospettabile: per antichissima consuetudine, dividono in parti uguali, tra i componenti della comunità, il fegato (consumato crudo) delle poche balene che riescono ad arpionare dall'alto dei kayak di pelli di foca con i quali si spingono in acqua. Le balene artiche sono animali filtratori, e traggono l'alimento di cui hanno bisogno dal plancton che ricavano in abbondanza dalle acque oceaniche: una parte di esso, il fitoplancton, è costituito da micro-organismi vegetali, ricchi di clorofilla e vitamina C, quella che poi si accumula in notevoli quantità nel loro fegato, e da qui passa nell'apparato digerente delle popolazioni eschimesi che se ne nutrono. E, al proposito, sapete da dove viene il termine "eschimesi", dal momento che essi, come abbiamo visto, appellano se stessi, semplicemente, "inuit", ovverosia "uomini"? Viene dal modo in cui li chiamano le tribù algonchine del nord del Canada, che li vedono, e sentono, come un popolo a loro estraneo (del resto, si tratta di uomini piuttosto piccoli di statura, dalla carnagione scura, più simili, per particolari etnici e caratteri fisiognomici, alle popolazioni nord-asiatiche, piuttosto che agli amerindi loro confinanti): per gli algonchini, dicevamo, gli eschimesi erano i "mangiatori di carne cruda". Appunto.

    I soloni della dieta mediterranea all'amatriciana dovrebbero spiegare dove gli Inuit rinvenissero, nei secoli, taralli, maccheroni, friselle, pesche, more, fichi d'india, clementine, pere, ciliegie, cotogne, pomodori, riso, zafferano, puccette, angurie, castagne, grissini, melanzane, etc. etc. Carne e pesce, "solo" carne e pesce: dopo il latte della mamma, si sono nutriti per millenni esclusivamente delle proteine (e del grasso, per il vero) di carne e pesce. Ognuno di loro, per tutto il corso della sua vita. La dieta mediterranea non gliel'ha mai insegnata nessuno. Eppure, si tratta di quelle stesse popolazioni per le quali per decenni la scienza medica si è interrogata sulle ragioni che potessero essere alla base della universale constatazione della bassissima incidenza, da loro, di malattie cardio-vascolari: infarti e ictus cerebrali quasi sconosciuti, per non parlare delle malattie renali. E gli sconvolgimenti organici della dieta iperproteica che i tanti soloni di cui sopra paventano per i 10 giorni dei nostri cicli? Mah!?!

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   - 2) GLI AFRICANI CHE MANGIANO CARNE, "LATTE E SANGUE"...
    ... E QUELLI CHE COLTIVANO LA TERRA.

    L'africa sud-sahariana conosce numerosissmi gruppi etnici distinti (con meccanismo etno-linguistico ne sono stati contati centinaia), sovente geneticamente affini tra loro, altre volte portatori di differenze geniche anche notevoli, frutto di secoli di segregazione territoriale.
    I "Masai" (o Maasai, come usano chiamarsi tra loro, a partire dalla lingua che parlano, il "Maa") sono forse i più coreografici, i più noti di tutti. Abitano gli altopiani di Tanzania e Kenya, che percorrono periodicamente da nord a sud con le loro transumanze legate alla stagione delle piogge e alla ricerca di pascoli per il bestiame che conducono e da cui vengono guidati. Sono da sempre allevatori di una particolare tipologia di bovini, gli zebù, sorta di grandi vacche bianche dalle larghe corna, e con una caratteristica gobba di grasso che ne sormonta il garrese, ottimamente adattate ai terreni aridi e poveri, al caldo della savana, alla scarsità d'acqua, agli insetti ematofagi. I primi segni delle loro periodiche migrazioni risalgono al XIV-XV secolo, quando, in diversi gruppi, abbandonarono ad ondate successive la valle del Nilo, con direzione Sud, a colonizzare le terre ancora vergini di Uganda, Kenya e Tanzania (popoli che, nel loro insieme, vennero per questo detti "nilotici", uomini che i colonizzatori bianchi appellarono, nel loro insieme, come "Bantu" (o "Bantù"), nell'ambito dei quali i Masai rappresentano il gruppo che si è stabilito più a meridione). Alti, snelli, arti lunghi, colonna vertebrale ben eretta, ottimamente strutturati dal punto di vista muscolare, forti e resistenti alla fatica, dai lineamenti molto fini del volto (remote leggende li vorrebbero imparentati, alla loro origine pre-migratoria, con popolazioni nord-africane, di carnagione più "chiara" e discendenti da antichissimo ceppo camitico), vestono abiti sgargianti e molto coreografici (dalle tonalità cromatiche tendenti, in genere, al rosso), e sono noti al grande pubblico televisivo per le loro caratteristiche danze, fatte di salti verticali sul posto, e la loro abitudine culturale di auto-procurarsi enormi fori nei lobi delle orecchie, per progressivamente allungare gli stessi sino a renderli pendenti ed enormi (poi li adornano con perline, pezzi di legno scolpito, pietre colorate). Guidano e al contempo seguono le mandrie di zebù, praticamente la loro unica fonte tradizionale di nutrienti (e anche di materiale "edile", per il vero: nei periodi dell'anno in cui, per stagionale ricchezza d'acqua e vegetali atti a sostentare le vacche, diventano temporaneamente stanziali, fabbricano delle capanne destinate a breve vita, erigendone i muri con mattoni seccati al sole e ricavati da un impasto di paglia, fango e sterco di vacca, che funge da "cemento"). Gli zebù, per loro, dal punto di vista alimentare sono fonte inesauribile non solo di carne, come si potrebbe pensare. Anzi, esattamente il contrario: durante le loro marce di trasferimento sotto il sole della savana tropicale, è facile scorgere delle figure umane alte e sottili che procedono al fianco delle loro vacche bianco-grigiastre, le quali ultime recano appese al collo lunghe zucche, sospese a funi sottili, per 12-14 ore al giorno. Sono zucche cave, appositamente svuotate a ricavarne delle specie di sacche rigide, impermeabili all'esterno, porose e permeabilissime al loro interno. All'interno di quelle cucurbitacee, negli anfratti lasciati liberi dalle fibre vegetali da cui era costituita la polpa asportata, trovano albergo miliardi di "lactobacillus acidophilus" e "streptococcus termophilus", parenti stretti di quelli che colonizzano le pareti interne degli otri dei mongoli (vedi in altra parte di questa pagina). All'alba, prima di mettersi in marcia, le donne mungono le loro ossute vacche, riempiono col latte che ne ricavano quelle zucche vuote (di tanto in tanto mescolandolo a del sangue ricavato dal forare le giugulari dei pochi buoi della mandria), le tappano e le appendono al collo degli stessi animali. Ai 50° C delle pianure assolate centro-africane, quel latte, a contatto con i miliardi di batteri di cui sopra, fermenta tumultuosamente, dando vita ad una specie di denso yogurth, acido e brunastro. Al tramonto, terminata la tappa di trasferimento, i componenti la comunità transumante si accampano sotto le stelle, e mangiano avidamente di quella poltiglia bruna, di quel denso liquido acido e lievemente alcoolico, il risultato della mescolanza di latte fermentato e sangue coagulato.

    Praticamente mangiano, abitualmente, solo quella roba lì, con l'occasionale aggiunta di radici e tuberi commestibili rinvenuti durante il loro cammino, e della carne ricavata dagli animali vecchi o malati, che si vedono costretti a sopprimere prima che decedano di morte spontanea. Dopo il latte della mamma, mangiano sangue e latte fermentato di zebù, con poche eccezioni, per tutto il corso della loro vita. Eppure sono diventati uno dei popoli fisicamente meglio costruiti del mondo, gli antenati di Mandingo, Usain Bolt, Cassius Clay, Carl Lewis, di campioni del mondo a ripetizione in discipline olimpiche come la corsa di fondo e la maratona, il salto in lungo e quello triplo.

    Lasciamo ora Kenya e Tanzania, per trasferirci idealmente in Rwanda e Burundi. Qui troviamo tre etnie principali, ben distinte tra loro. I "Twa" (pigmei) sono uomini di bassa statura e dai lineamenti più grossolani, fisiognomicamente vicini alle popolazioni pigmee note in occidente, e costituiscono una linea etnica e genetica a sè stante. Oltre a loro, si rinvengono ad occupare gli stessi territori, tra loro embricandosi, due ulteriori popolazioni, gli "Hutu" e i "Tutsi", tristemente noti nei tempi moderni per essere stati, a più riprese, i protagonisti di sanguinose guerre fratricide -con gli Hutu a prevalere sui perdenti Tutsi, singolarmente più forti, ma numericamente molto meno rappresentati-, le quali guerre, a tratti, hanno assunto, in Rwanda, i caratteri propri dei veri e propri genocidi. La struttura fisica dei Tutsi (anche conosciuti, al grande pubblico, come "Watussi") è molto simile a quella dei Masai, che, anzi, in media sopravanzano di circa 3 cm, per statura fisica. Ebbene, le odierne tecniche di ricerca genetica hanno escluso affinità geniche particolari tra Masai e Tutsi, e hanno invece dimostrato inaspettata vicinanza genomica tra i Tusti e i conterranei Hutu. Eppure, i Tutsi sono visibilmente più alti, belli e meglio costruiti degli Hutu (soggetti, questi, più tarchiati, bassi e fisicamente tozzi, rispetto ai primi). Ma, cosa ancora più singolare, i figli delle non rare coppie ibride, formatesi a cavallo tra i due gruppi, finiscono regolarmente per assumere le sembianze dell'etnia presso la quale si trovano a crescere e vivere. Come spiegare tale fenomeno, se non ipotizzando un qualche tipo di influenza ambientale esterna su tale fenomeno di comune osservazione? E' stato così che si è pensato ai fattori alimentari: gli Hutu, stanziali, si nutrono dei prodotti della terra, in prevalenza derrate cerealicole, i Tutsi, allevatori nomadi, si alimentano in via grandemente prevalente con la carne dei loro animali. Possiedono tradizioni sostanzialmente comuni, stessa lingua, lineamenti del volto molto simili (tanto da rendere le loro rispettive fisionomie praticamente indistinguibili nella maggioranza dei casi). Tali e tante somiglianze, che molti etnologi ipotizzano che non di vere e proprie distinzioni etniche tra due popoli diversi, si tratti, bensì di più "banali" differenze sociali "di casta", all'interno dello stesso popolo: gli elevati e nobili Tutsi, che si possono permettere una ben più dispendiosa dieta a base di carne, e i "plebei" Hutu, più poveri dei primi, e per questo costretti ad alimentarsi dei cereali che faticosamente coltivano. Meno belli, questi ultimi, meno alti, meno forti, meno bene costruiti dal punto di vista muscolare, proprio perchè mangiano più derivati del grano che carne.

    Alla fine della giostra, sembra assodato che le popolazioni nere più belle e meglio costruite delle regioni sub-sahariane si nutrano principalmente di proteine animali, latte bovino fermentato, sangue, carni (e pesce sulle coste). I soloni della dieta mediterranea all'amatriciana dovrebbero spiegare dove i Masai e i Tutsi abbiano rinvenuto, sin dal XIV secolo, taralli, maccheroni, friselle, pesche, more, fichi d'india, clementine, pere, ciliegie, cotogne, pomodori, riso, zafferano, puccette, angurie, castagne, grissini, melanzane, etc. etc. Solo latte fermentato, sangue e carne, per secoli. Dopo il latte della mamma, "solo" latte fatto fermentare al sole e carne ricavata dal bestiame allevato. Ognuno di loro, per l'intero corso della sua vita. E hanno dato vita agli atleti più forti ed eleganti del mondo, i più grandi in assoluto nelle specialità di corsa, sia veloce che di lunga distanza, capaci delle imprese sportive più straordinarie e memorabili (Usain Bolt docet, con i suoi primati del mondo a ripetizione sulle distanze dei 100 e 200 metri piani). E gli sconvolgimenti organici della dieta iperproteica che i tanti soloni paventano per i 10 giorni dei nostri cicli? Mah!?!

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   - 3) GLI INVENTORI DEL "KUMYS".

    Da più parti si è detto che la storia d'Europa iniziò... in Cina.
    La costruzione della Grande Muraglia Cinese cominciò nel III secolo a.C. (circa il 215 a.C.) per volere dell'imperatore Qin Shi Huangdi (o Shih-Huang-Ti, 245-210 a.C.), lo stesso a cui si deve il cosiddetto Esercito di Terracotta di Xi'an (oltre che l'ancora inviolato tumulo sepolcrale). Essa venne edificata sulla base di un preesistente, discontinuo, tracciato di confine, delimitato da numerose piccole fortificazioni isolate (nel complesso, circa 40.000 torrette e piccole fortificazioni in pietre e terra, poste a circa 100 metri -distanza visiva utile- l'una dall'altra), situate ai confini settentrionali della Cina (le prime di esse risalenti, all'incirca, al 680 a.C.), e la cui funzione era stata, da sempre, quella di difendere, con alterne fortune, le popolazioni cinesi del Sud dagli invasori Tartari, i sanguinari nomadi che scendevano dal Nord. Per secoli la Muraglia venne più volte violata da Settentrione: conobbe un lungo periodo di relativa tranquillità tra il III ed il XIII secolo d.C. (fu al termine di questo periodo che il territorio cinese venne conquistato dalle armate mongole di Gengis-Khan, le quali ne rimasero dominatrici per circa 90 anni, sino alla liberazione definitiva ad opera del fondatore della dinastia Ming, il figlio di pastori Chu-Yuan-Chang: questi sarebbe poi diventato, per i suoi meriti militari, il primo imperatore della dinastia stessa, con il nome di Tai-Tsu). Della importanza controversa, dal punto di vista dell'efficacia militare, della Grande Muraglia, ci dà indiretta testimonianza Marco Polo, il quale, nei suoi diari, non ne fa affatto menzione (e, difatti, quei diari trattano proprio del periodo di massimo fulgore della potenza dell'impero mongolo, il più territorialmente vasto che l'uomo ricordi: si trattava di una delle fasi storiche, infatti, in cui la Muraglia sembrava avere perso gran parte della sua importanza).

    Tornando all'inizio: dopo oltre 5 secoli di sanguinose lotte di confine, nel III secolo d.C, l'etnia (pure, originariamente "barbara") dei "Juan-Juan" riuscì ad unificare sotto di sè l'intero territorio cinese, ricacciando oltre confine (sino al XIII secolo, appunto) le orde sanguinarie dei "Jong-Nu": i "Mongoli" dei freddi altopiani del Nord. E questi, vistisi impediti a poter sfondare, per secoli, ad oriente, direzione nella quale troveranno le strade bloccate sino ai tempi di Gengis-Khan, si videro allora costretti ad espandersi verso occidente (le brulle steppe mongole, il Tibet e il deserto di Gobi permettevano, da soli, una ben grama esistenza). Partendo da quelle lande desolate, allora, passando a nord della immensa catena montuosa dell'Hymalaia (a proposito, sapete che il nome Hymalaia proviene dal termine greco "kheymon", ovvero "terra dell'inverno senza fine"? E' il nome che dettero alla catena montuosa, perennemente innevata, i soldati macedoni, che fin qui si spinsero ai tempi della grande avventura di Alessandro il Grande), quei guerrieri mongoli dettero l'avvio a quel cammino che li porterà, dopo circa un secolo di marcia inarrestabile, fino alle viste di una seconda muraglia di confine, i "Limes" di un altro impero, che pure era sembrato eterno e invincibile, ma che, invece, manifestava ormai chiari i sintomi della disfatta finale, di una rapida decadenza, sociale, civile e, insieme, militare: l'Impero Romano d'Occidente. Nelle loro forsennate cavalcate travolsero tutto e tutti, furono frenati solo temporaneamente, sulle rive del Don, dagli Alani, per poi riprendere il loro cammino nel IV secolo d.C., per attraversare come lame nel burro i territori dove trovarono accampate le sparse tribù germaniche (le quali pure, a quel punto, cominciarono a muoversi verso il ricco e mitico occidente, ad ondate successive di disordinate invasioni barbariche): tribù germaniche che, all'inizio tra loro slegate, popolavano in modo stanziale le pianure situate tra l'Elba e il Danubio, e che cominciarono a riunirsi in popolazioni più organizzate proprio sotto la pressione dei feroci Tartari provenienti dal lontano Oriente. A Roma li conobbero ben presto con il nome terrifico di "Unni", proprio gli Jong-Nu dei cinesi di un secolo prima: i Mongoli, appunto, che cominciarono a premere con forza in Tracia e Pannonia (i territori che, per grandi linee, occupa l'attuale Ungheria). L'apice della loro potenza, all'epoca delle prime avventure nelle terre dell'Ovest, si ebbe con il re Attila, l'ultimo e più potente sovrano degli Unni. Dall'Europa, dal 434 fino alla sua morte, governò un vastissimo impero che si estendeva dall'Europa centrale al Mar Caspio, e dal Danubio al Baltico, unificando -per la prima ed ultima volta nella storia- la maggior parte dei popoli barbarici dell'Eurasia settentrionale (dai Germani agli Slavi ai cosiddetti Ugro-Finni). Durante il suo regno divenne il più irriducibile nemico dell'Impero Romano d'Oriente e dell'Impero Romano d'Occidente: invase due volte i Balcani, cinse d'assedio Costantinopoli, marciò attraverso la Gallia (attuali territori di Francia) spingendosi fino ad Aurelianum, scacciò da Ravenna l'imperatore Valentiniano III (452 d.c.). Soprannominato "Flagellum Dei" (Flagello di Dio) per causa della sua ferocia, si diceva che dove fosse passato non sarebbe più cresciuta l'erba.

    Dagli Unni derivò in linea diretta la stirpe degli "Ugri", prima, e degli "Ungari" (o Magiari, come usavano appellare se stessi), poi: i quali Ungari, nel corso di secoli, colonizzarono stabilmente, in ondate successive provenienti dai Carpazi, i territori rappresentati, odiernamente, dall'attuale Ungheria (altra curiosità etimologica che spero non dispiacerà al lettore: una delle ipotesi oggi più accreditate, per l'origine del termine medioevale -arrivato sino a noi, e universalmente noto- di "Orco", vorrebbe che la parola, pur avendo prime radici remotissime -"Urak"- in antichissimi riti proto-latini ed etruschi, riguardanti l'Ade e i demoni malvagi dei defunti -che da lì si assumeva si allontanassero per venire nella terra dei vivi a seminarvi sangue, terrore e morte-, da termine ormai desueto qual era diventato, tornò invece in auge in epoca tardo-latina, allorchè trovò nuova pregnanza di significato quando si cominciò ad associarla -per chiara assonanza semantica- alla sperimentata crudeltà degli invasori discendenti dagli Unni, e provenienti dalla Pannonia. Gli "Ungari", appunto, ovvero gli "Orchi", coloro che si nutrivano di carne cruda, del cui sangue portavano chiare le tracce fresche sulle membra -e allora, tra il saperli mangiatori di carne cruda e guerrieri sanguinari, e poi il considerare verosimile che mangiassero anche carne umana, e divorassero bambini, il passo fu facile e breve-). Per dare un'idea delle abitudini di vita di quelle antiche popolazioni mongole, ci sembra non inutile citare, alla lettera, le parole con le quali nel 395 un ufficiale della guarnigione imperiale di stanza in Tracia, Ammiano Marcellino, raccontò della terrificante apparizione, sulle rive del Danubio, di certi uomini «... piccoli e tozzi, imberbi come eunuchi... Piuttosto che uomini, si direbbero bestie a due zampe. Portano una casacca di tela con guarnizioni di gatto selvatico e pelli di capra intorno alle gambe. E sembrano incollati ai loro cavalli. Vi mangiano, vi bevono, vi dormono reclinati sulle criniere, vi trattano i loro affari... Vi fanno perfino da cucina, perchè invece di cuocere la carne di cui si nutrono, si limitano a intiepidirla tenendola fra le cosce e la groppa del quadrupede. Non coltivano i campi e non conoscono la casa. Scendono da cavallo solo per andare a trovare le loro donne e i bambini...».

    Ebbene: che cosa mangiavano (e mangiano ancora, per altro, con alcune aggiunte e modifiche dettate, del tutto di recente, dai "tempi moderni"), usualmente, quelle popolazioni? Cibi "grigi", in minor misura (carne di cavallo e di montone, nella sostanza, alla quale solo negli ultimi decenni, contestualmente all'accrescersi obbligato delle abitudini stanziali, si sono aggiunti piatti a base di farinacei), e, in molto maggior misura, cibi "bianchi" (il bianco è da loro ritenuto un colore fausto), ovvero derivati dal latte (quello più pregiato è da sempre considerato, da loro, quello di cavalla). Base essenziale dell'alimentazione "bianca" era, ed è, una bevanda fermentata, allora conosciuta come "kumis(s)", oggi più nota come "airak" (o "airag"), bevuta da ogni uomo, quotidianamente, in quantità di litri: è il risultato della fermentazione parzialmente alcoolica del latte di cavalla, messo a conservare in otri di pelle, pluriutilizzate per anni. Al loro interno, per la sedimentata presenza di particolari batteri ("lactobacillus bulgaricus" e "bifidobacterium bifidum", in prevalenza), il latte fermenta (sino a dare una bevanda contenente 3-5 gradi di alcool etilico, una specie di leggera birra, proteica e discretamente acida), con l'aiuto di una frequente battitura dall'esterno (che si pratica all'interno delle "gher" -le loro bianche tende circolari-, quando le carovane sono ferme), ovvero di un loro utilizzo a mo' di selle (durante i trasferimenti e le scorribande imposti dalla vita nomade), nell'ambiente tiepido ricavato tra le groppe dei cavalli e le terga delle donne che li cavalcavano (gli uomini, tradizionalmente, ne erano esentati, considerando essi onorevole, per un guerriero, solo lo stare a cavallo rigorosamente "a pelo", pronti a dar battaglia, tutt'uno con il proprio destriero).

    Latte fermentato negli otri di pelle, con l'aggiunta di un po' di carne cruda, intiepidita tra le cosce delle donne a cavallo: praticamente l'unica alimentazione di un popolo nel corso di secoli e secoli. Proteine della carne e proteine del latte delattosato (lo zucchero del latte, il lattosio, viene quasi completamente trasformato, da quei batteri, in acido lattico e alcool etilico). Eppure l'impero mongolo arrivò ad essere il più vasto e potente impero della storia, ai tempi della dinastia "Khan" (XIII secolo). I soloni della dieta mediterranea all'amatriciana dovrebbero spiegare dove i Mongoli rinvenissero, nei secoli, taralli, maccheroni, friselle, pesche, more, fichi d'india, clementine, pere, ciliegie, cotogne, pomodori, riso, zafferano, puccette, angurie, castagne, grissini, melanzane, etc. etc. Solo latte fermentato e carne cruda, per secoli. Dopo il latte della mamma, "solo" latte fatto fermentare sotto il sedere e carne cruda intiepidita tra le cosce delle loro donne. Ognuno di loro, per l'intero corso della sua vita. E conquistarono quasi tutto il mondo conosciuto di allora. In una situazione nella quale, stando alle pretese di certa moderna "scienza" nutrizionistica, quegli uomini si sarebbero dovuti presentare come soggetti debolucci e malaticci, gottosi, aterosclerotici, edematosi per inevitabile insufficienza renale progressiva. Gli sconvolgimenti organici propri della dieta iperproteica che i tanti soloni paventano per i 10 giorni dei nostri cicli. Eppure, da malati, conquistarono il mondo. Mah!?!

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    Che, tra tanti soloni, il buon saggio, il generoso, il salace don Gino Bartali, facile profeta, avesse proprio lui ragione prima del tempo?

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    I singoli cicli della nostra N.E.LT. hanno sempre la durata di 10 giorni. Se il sondino viene applicato al mattino (vale a dire prima dell'ora di pranzo), il giorno di applicazione sarà conteggiato come primo giorno del ciclo; se il sondino viene applicato nel pomeriggio, il primo giorno del ciclo sarà considerato quello successivo.

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